Quest’anno sto faticando e non poco a sentire lo spirito del Natale, nonostante tutt’intorno sia già festa. E non perché voglia fare la bastian contrario. Ma ultimamente la vita mia e di chi amo è una strada inerpicata e faticosa, piena di rovi e pericoli. Il fatto di non sapere come arriveremo a Natale, e come lo festeggeremo, mi inquieta. Perché per me Natale son le piccole tradizioni che in questa vita abbiamo creato insieme e che la malattia sta provando a portarci via. Anche stamattina pareva cominciata nel peggiore dei modi – Nara è scappata, causando un crepacuore a me e una caduta a mio suocero -, ma poi la giornata ha preso una piega diversa, con un complimento da parte di una collega e con una mail di una persona che ha rispettato la parola data, facendomi un regalo enorme. E poi c’era il sole, dopo giorni di pioggia. E una giornata di sole non può essere una…
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Grazie!
“Thank you India Thank you terror Thank you disillusionment Thank you frailty Thank you consequence Thank you thank you silence”. Alanis Morissette Ieri era il quarto giovedì di novembre. Voi direte: embè? Era un giorno uguale agli altri: ho fatto la spesa, il bucato, sono andata a prendere la bimba a scuola etc. E invece no: mentre noi vivevamo una giornata di ordinaria follia, in America era il Thanksgiving Day: milioni di famiglie si sono sedute intorno allo stesso tavolo con i propri famigliari e amici e insieme hanno ringraziato Dio per quanto di bello e buono è capitato loro durante l’anno o nella vita in generale. Davanti ad un tacchino ripieno, ci si riconcilia, ci si confronta, si ritorna a scoprire il contatto fisico e umano in un’era di social network, si parla, si ride. Si vive. Ho sempre pensato che a tavola non si può mentire, ognuno si svela per quello che è: c’è quello taciturno che mangia…