Eccoci con un’altra puntata del progetto “Startup Mon Amour”, il viaggio alla scoperta di realtà innovative legate al mondo del wedding, ideato da #giovaniconlapiva. Questa volta la nostra #consulenteatipica Carolina è andata alla scoperta di Batika Boutique, “scoperta mettendo un like su un post sponsorizzato su Facebook… Tre settimane dopo, ci siamo ritrovate io e Alessandra Baj, la titolare, a bere un tè caldo in una pasticceria di Milano, a pochi metri dalla sua Ape boutique: glamour e street allo stesso tempo”. Un’intervista che ha più il sapore di una chiacchierata tra amiche che si ritrovano dopo un lungo viaggio. In effetti il viaggio è stato lungo…
“Dopo anni di esperienza come titolare di un negozio di abbigliamento e prima ancora come commessa sempre nello stesso settore, ho capito che quella non era la mia strada: la rigidità degli orari, i lunghi periodi vuoti, gli obblighi di un commerciante classico non si fondevano con la mia anima creativa, la voglia di viaggiare alla ricerca di stili materiali e idee nuove. Così, dopo aver chiuso l’attività ed essermi confrontata con mio marito Andre, ho trovato la mia mission”.
Perché alla fine è una missione, la sua: ha importato dagli Stati Uniti la “pop up store” economy. Il ‘pop up store’ è un punto vendita di concezione relativamente recente, importato in Italia da una tendenza nata negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Un esercizio temporaneo, la cui durata può variare da pochi giorni a poco più di un mese. Benché piccoli e transitori, questi negozi sono spesso in grado di attirare l’attenzione dei consumatori. Essi compaiono in zone particolarmente in vista della città, proponendo le ultime novità e chiudendo improvvisamente, senza preavviso: l’obiettivo è quello di creare un evento effimero che si leghi a un messaggio temporaneo duraturo, specialmente nelle politiche di marketing delle grandi marche. “In realtà l’ho adattato. Il mio è un pop up store definitivo, non temporaneo ma permanente. La mia ape si sposta da una zona all’altra di Milano a seconda dei giorni, secondo una tabella di marcia ormai conosciuta dai clienti abituali”.

Ma conosciamo meglio Batika e la sua storia… Com’è nato il nome Batika? “Arriva dall’India: lì la parola “tika” significa qualcosa di buon auspicio. Le persone ti dicono “tika” per augurarti qualcosa di bello. Mi è sembrato il termine giusto. Però non potevo solo chiamarla “Tika”. Cosi Andre e io abbiamo pensato di unirci il mio cognome per dare un’ impronta più personale. Io di cognome mi chiamo Baj, ho aggiunto “tika” e alla fine ecco che è venuta fuori “Batika””.
Nome stiloso come i bijoux e gli altri accessori che vendi, stilosa anche la regina di questo business: l’Ape. Ne hai comprata una nuova o usata? Ha dei costi importanti? “Ne abbiamo acquistata una nuova e poi grazie a un architetto abbiamo apportato sostanziali modifiche per poter esporre i gioielli. Trattandosi appunto di bijoux, occorreva doverli esporre in un certo modo, sia per una questione estetica che di sicurezza. Una designer poi ha studiato l’elemento ‘pois’ che ha subito fatto innamorare sia Andre che me e i colori. Inizialmente il colore doveva essere diverso, ma oggi non potrei essere più soddisfatta di questo azzurrino grigio. I costi non sono ridottissimi, ma nemmeno improponibili: se si tiene conto che l’Ape in sé è il vero costo fisso dell’azienda, è presto detto che rispetto a dover sostenere il costo continuo di un affitto o del mutuo per la locazione o l’acquisto di un immobile, il risparmio – almeno economico – è chiaro”.

Batika è nata come tanti progetti un po’ per caso o è un percorso di lunga data? “Né l’uno né l’altro… Batika è nata quando siamo stati pronti: non ci siamo lanciati in un progetto così dal nulla, ma non lo abbiamo neanche partorito in un decennio. Una mattina di giugno senza battage pubblicitario e senza sponsorizzazioni sui social, ho parcheggiato l’Ape vicino al cinema Orfeo (vicino a Parco Solari, ndr) dove siamo parcheggiati oggi ed è iniziata così l’avventura di Batika”.
In un paese come l’Italia, dove la burocrazia non è snellissima, come hai fatto per avere i permessi e per l’occupazione del suolo pubblico? È stato difficile? “No, per niente: ho fatto richiesta per la licenza di venditore ambulante e per l’assegnazione delle zone dove poter occupare il suolo pubblico. Sapevo che per ottenere i vari permessi ci sarebbe voluto un po’ di tempo, ma non ho avuto alcun problema. Né un ritardo, né una richiesta di integrazione documentale. Nulla. Le attestazioni sono arrivate nei tempi e ho iniziato subito a lavorare. Posso solo che complimentarmi”.
Qualche controllo da parte di qualche ente? Oppure mandati dalla concorrenza? “Un solo controllo dall’apertura a oggi: la polizia annonaria, che ha voluto visionare licenza e permessi e poi ci ha augurato buon lavoro! La concorrenza, intesa come negozi classici, non posso etichettarla come concorrenza vera e proprio: siamo realtà diverse e abbiamo clientele diverse. Sono sempre molto attenta però quando cerco parcheggio per l’ape. Evito di posizionarmi davanti a vetrine di negozi o troppo vicino ad altri venditori ambulanti, anche se di prodotti differenti. Sono dell’idea che con le persone basta essere chiari e disposti al compromesso e poi tutto va per il meglio”.
Una creativa come te, che ha un’anima sensibile e un gusto artistico pazzesco, cos’ha da spartire con il commercialista? “Il nostro rapporto si può identificare in una scatola di scarpe. Ci conosciamo da molto, quindi conosce anche i miei limiti legati a fatture e costi. E così ogni costo, fattura e ricevuta la ripongo nel mio vaso di Pandora – la scatola di scarpe – e quando c’è la scadenza gliela recapito: funziona perfettamente”.
Cambieresti mai il tuo lavoro di oggi con quello di prima? Tutto il giorno in piedi, esposta alle variazioni climatiche: massacrante, no? “Mai. Batika sono io: ho trovato la mia essenza. Da un anno a questa parte non ho più una vita privata: giornate interminabili, ri-ordini, studi, pubblicità e nuovi progetti, non ho tempo per nulla. E poi stare in piedi tutto il giorno ammazza. Ci vorrà del tempo per trovare un equilibrio, però sono molto felice e soddisfatta così, questa è la strada giusta”.
Da chi è composto il tuo staff? “Sono tutti professionisti validi, tra i quali si è creata una bellissima sinergia. Marta e io stiamo su strada a vendere, poi c’è Paolo, il nostro social media marketer, che ci assiste per tutta la parte social, foto e video. Infine, c’è mio marito Andre gestisce la parte pratica di conti guadagni e contabilità e poi è super presente ogni volta che può, per esempio la domenica. Scegliere le persone con cui lavorare è la parte difficile: per lavorare con Batika devi essere solare, sorridente, devi avere voglia di fare”.
Prima abbiamo parlato di India…: “L’India è il punto di partenza: i tessuti più belli sono lì, nella regione del Kashmir, l’oro e le lavorazioni dei gioielli anche. Per questo, la produzione dei miei accessori viene fatta in India. Due o tre volte l’anno mi trasferisco letteralmente in India per visionare la produzione, controllare il packaging. Insomma, vivo in fabbrica fino a che anche l’ultimo minuscolo pezzo è pronto per partire perfettamente imballato. Ci sono poi degli accessori invece che acquisto da piccolissime realtà artigianali, come le fasce turbanti”.

Anche Batika, come ogni realtà innovativa che si rispetti, è stata notata dal settore wedding…: “Sì, proprio l’altro giorno per la quarta volta una signora mi ha chiesto se posso confezionare dei regali unici per i suoi testimoni. Unici nel senso di diversi tra loro, ma mantenendo uno stesso file rouge, e che non si possano trovare facilmente in giro. Effettivamente quello che vedi da Batika, lo trovi solo qui. Ci possono essere alcune collezioni continuative, quindi dove si ripropone il gioiello per tutte le stagionalità, ma poi ci sono delle collezioni spot. Gioielli e accessori particolari “one shot”. Questi sono quelli ricercati da chi vuole qualcosa per il grande giorno: dalle fedi a qualcosa di azzurro, o i regali per testimoni e damigelle. Non ti nascondo che potrebbe esserci anche in futuro un’idea legata solo al wedding…”.
Chissà forse una produzione dedicata? Rimaniamo in attesa… Intanto inseguite Alessandra e la sua Ape in giro per Milano e sulla loro pagina Facebook.
Chi è Carolina: Carolina Casolo, ovvero #carolinaconsulente, è una consulente un po’ atipica, che ama poter assistere aziende o persone fisiche che iniziano una propria attività seguendo un sogno, fornendo punti di vista differenti e trovando soluzioni innovative per rispondere alle sempre più particolari esigenze dei clienti. Ecco da dove è nato il suo interesse per il settore del wedding e in particolare per le startup. È la founder di #giovaniconlapiva, la società di servizi e consulenze dedicata ai giovani under 35 che si approcciano al lavoro autonomo.
[Grazie a Rachele Mandarano per la collaborazione]
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