La parola aspettativa deriva dal verbo aspettare, che a sua volta è di origine latina ed è composto di “ex”, fuori e “spectare”, guardare. Quindi, significa letteralmente “guardare fuori”, aspettare qualcosa che non deriva da noi, ma che viene da altro o da altri. Significa riporre le proprie speranze in qualcosa o qualcuno che non dipende da noi nè dal nostro volere, ma che però è diretta conseguenza delle nostre azioni. In teoria, comportandoci in un determinato modo, ci aspettiamo che gli altri rispondano adeguatamente. Ma non sempre è così.
A un favore dovrebbe corrispondere un Grazie, a difficoltà un sostegno, a tristezza un tentativo di farci sorridere, a parole importanti fatti altrettanto degni. Ma non sempre è così. Rimaniamo lì in attesa, fino a che le nostre aspettative non vengono attese oppure distrutte. E così, subentra la delusione, che se lasciata macerare, allontana, divide, diventa indifferenza. Che hai voglia a giustificare e a spiegare e a parlare, l’unico modo per scacciarla sarebbero i fatti.
Alla fine, è l’aspettativa che ci frega. Perché ci fa sentire inadeguati, mai contenti, pretenziosi, saccenti, sedicenti. Ma poi a conti fatti forse è l’altro che era troppo poco per noi e non noi che ci aspettavamo troppo da lui. Dicono che un buon metodo per superare la cosa è quello di ridimensionare la delusione: ma a quel punto si rende necessario ridimensionare anche l’aspettativa, e inevitabilmente il rapporto.
L’unico modo per andare avanti è valutare quello che davamo noi: se pretendevamo molto, senza dare molto in cambio, allora è anche colpa nostra e c’è margine per migliorare, da soli e insieme; ma se ci aspettavamo molto, avendo dato molto o tutto in cambio, e questo molto non è arrivato, allora è inutile continuare in un rapporto a senso unico. L’unica è tornare a investire: sì, ma su noi stessi, per essere pronti a ricevere chi ci apprezzerà per quello che siamo, senza approfittarsene.
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