Se c’è una cosa che da sempre tutti i figli rimproverano ai genitori è il metodo d’educazione: “Se m’avessi dato qualche schiaffo in meno (ai tempi miei si usava senza ripercussioni o recriminazioni sociali), impartito qualche castigo in meno e qualche esempio in più, oggi saprei cosa fare e come comportarmi in certe situazioni”. Classico. Peccato che educare, insegnare qualcosa, non sia semplice. Capisco i genitori, anche se non lo sono ancora: dare una sberla, alzare la voce o mettere in castigo è molto più facile e veloce che mettersi in gioco, in discussione e mostrare la vita. La verità è che manco loro sanno bene cosa sia e come si viva, sta cazzo di vita. Ai miei non posso dire niente: nonostante tutto, se oggi so come stare al mondo, so cosa è giusto o non è giusto fare e ho una mia precisa e definita personalità, in parte è anche merito loro. Certo, non sono la figlia perfetta, ma faccio del mio meglio per non deluderli, anche se me lo dicono poco spesso. Ma non è questo il punto.
Il punto è: che fatica essere d’esempio. Significa certo comportarsi bene, questo è quello che ti insegnano da piccola, ma oggi più che mai per me significa: fare, essere quello che si dice o che si pensa.
Insegnare è la cosa più difficile di questo mondo: significa essere preparati su una certa materia, averne fatto esperienza, aver imparato a propria volta la lezione, e poi trasmetterla, essendo pronti a continuare a imparare, perchè ogni lezione è un imprevisto e non sai mai chi potrebbe metterti alla prova. Si dice che chi non sa insegna: spesso con l’accezione cattivella che vuole sottolineare come chi siede dietro alla cattedra sia un incompetente; io invece dico che è vero perchè ogni volta è un mettersi alla prova, un mettersi a nudo, un rivelare anche le proprie lacune e cercare di colmarle con il confronto.
Già insegnare una materia è difficile… e con l’amore come la mettiamo? Nessuno sa di preciso cosa sia nè come lo si può sperimentare, eppure dicono che devono essere gli altri a ravvederlo in te. “Va che occhi a cuoricino… sei innamorata!”, “Certo che io davvero non so come fate ad affrontare tutto questo: siete davvero innamorati!”: ultimamente queste sono alcune delle frasi che ho sentito pronunciare di più nei miei confronti. Queste, insieme a “Finchè ci siete voi due, c’è speranza!”, “Voi siete l’amore, incarnate l’essenza del matrimonio”, “Grazie per l’esempio d’amicizia e d’amore che date” e numerose altre. Frasi che sono arrivate nonostante l’ultimo periodo sia stato uno dei più duri: l’ennesima diagnosi, l’ennesima cura da intraprendere, gli ennesimi sacrifici hanno messo a dura prova la capacità di intravedere un possibile futuro per noi, una serena vita insieme. I sorrisi hanno lasciato più spazio ai rimbrotti, ai litigi, alle discussioni, agli allontanamenti. Eppure… proprio in quel periodo in cui mi sembrava ci amassimo di meno, le persone ci dicevano che ci amavamo di più. Com’era possibile?
Proprio in quel periodo fatto di tensioni eravamo un esempio: una lusinga, certo, ma anche molta paura, perchè comporta una bella responsabilità. Poi la risposta è arrivata da sè: come puoi insegnare che le difficoltà si affrontano meglio in due, che l’amore vince sempre e su tutto e che non bisogna mollare mai? Semplicemente facendolo. In quei momenti non ci siamo chiesti cosa fosse più giusto fare, l’abbiamo fatto, nonostante il peso nel cuore. Non avevamo gli occhi a cuore a ricordarci che ci amavamo, ma ci amavamo e questo bastava.
E con questo non intendo dire che l’amore basta a risolvere le cose, ma è di sicuro il motore che ti fa andare avanti, che ti fa scegliere il sacrificio al posto della fuga, il rimanere piuttosto che andare. E che ti fa tornare la voglia di tornare a casa, dopo 14 anni, dopo tutta la stanchezza, dopo tutte le recriminazioni, dopo che avevi voglia di scappare. Perché lì è dove c’è il tuo cuore e dove c’è il cuore, c’è casa.
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