Loro sono Cesare ed Enrico, rispettivamente 89 e 91 anni. Loro fanno parte, anzi sono il cuore, dell’Ente Filarmonico di Guidizzolo, un piccolo paese sperduto nella campagna mantovana. Nel weekend io e Matteo eravamo lì a raccogliere materiale per un bellissimo progetto che celebrerà i 180 anni di fondazione di questa realtà.
Enrico e Cesare non sono tra i fondatori, ma certo sono delle colonne portanti di quest’associazione. Hanno cominciato nel periodo fascista, quando erano dei giovinetti, e non hanno più smesso. Ma non hanno solo suonato, hanno dato l’anima per quest’ente. Hanno costruito la sede con le loro mani, hanno raccolto il denaro quando mancava, si sono messi in prima linea quando rischiava di non esistere più. Non hanno solo suonato, hanno attraverso la musica costruito una realtà che oggi conta più di 300 iscritti e costituisce uno dei punti di riferimento della comunità.
Mentre raccontavano i loro aneddoti con una memoria lucida ed emozionata, brillavano loro ancora gli occhi, “perché questa è la nostra seconda famiglia”. E brillavano anche a me, perché conosco quella sensazione di appartenenza, che ti spinge a resistere e a continuare a lottare anche quando non ne hai più.
Oggi più che mai c’è bisogno di persone che facciano andare le mani, ma ancora di più cui brillino gli occhi nel parlare di qualcosa che non hanno generato loro, ma che hanno ereditato, non come un fardello, ma come un pezzo di cuore.
Oggi c’è bisogno di tornare a essere comunità. Perché in una comunità ci si viene incontro, ci si ascolta, ci si aiuta, ci si rispetta. In una comunità non ci si sente soli, ci si sente utili. Come Enrico, che con i suoi ricordi si fa memoria; come Cesare, che con il suo bombardino si fa poesia.

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