“Cià, vediamo come saremo da vecchi”. È un gioco stupido, ma mi va di farlo. Come sono da vecchi due che non sanno se arrivano a domani? Me lo sono chiesto spesso e ho sempre avuto paura di rispondermi. Immaginare di arrivare all’altro capo del filo, quando si è sospesi sul vuoto e davanti c’è solo nebbia e non si vede a un passo, è da temerari.
Ultimamente ci ho anche provato, a immaginarci poi: noi due, i nostri figli e poi dei nipoti, magari… Poi ho smesso: la paura serve ad alimentare una speranza consapevole. “Tutti dobbiamo andarcene”, mi hanno detto. “Sì, ma a te nessuno ha detto quando”. Silenzio.
Senza sapere quando, stiamo provando a tracciare i solchi dove si infileranno tutte le nostre rughe. Perché sarà così, lo voglio. I desideri sono sogni senza certezze, ma ardenti di speranza. Intanto viviamo il nostro domani, un giorno alla volta.
Stasera mi andava di fare questo gioco stupido. E fanculo, prendetevi pure tutti i nostri sorrisi: non sappiamo nemmeno se saremo qua quando vi servirete dei dati facciali.
Oggi avevo bisogno di un gioco stupido perché stupidamente ho avuto paura di immaginare un futuro. E un gioco stupido mi ha ricordato che non c’è niente di stupido nell’essere fragili, ma che siamo più forti quando con un sorriso torniamo a sperare.
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