Sin da piccola mi hanno insegnato a non lamentarmi mai, a vedere sempre chi stava peggio di me, a capire quanto fossi fortunata ad avere quel poco che avevo, a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Da grande questi insegnamenti si sono rivelati preziosi per donarmi l’equilibrio necessario a essere sempre felice come cerco di essere.
Mercoledì scorso potenzialmente poteva essere un giorno di merda: prima i problemi con il commercialista, il pensiero delle tasse da pagare, poi il caldo asfissiante, il cagnolone che sta male, il fidanzato con degli importanti esami di salute in avvicinamento… Insomma, una catastrofe, tant’è vero che verso metà pomeriggio mi mancava l’aria e non certo per via del caldo africano di questo periodo. Il panico mi stava assalendo, ma… poi mi sono ricordata dell’incontro che avrei dovuto fare da lì a poche ore e tutto è tornato al suo posto, in ordine e sereno. Avrei dovuto vedere la mia cara amica Silvia.
Chi è Silvia? È una ragazza piena di vita, con sempre il sorriso sulle labbra, sempre una parola buona per tutti, una gran voglia di ridere e scherzare e un’intelligenza e sensibilità fuori dal comune. Il tutto concentrato in una donna condannata per sempre sulla sedia a rotelle. Silvia infatti ha una disabilità grave che le paralizza gli arti superiori e inferiori e la costringe all’immobilità sin dalla tenera età, una disabilità che però non le paralizza il pensiero: Silvia, infatti, è laureata in lingue, è brillante, è ironica, è unica. Siamo amiche da più di dieci anni, da quando i suoi genitori, già anziani, mi scelsero come sua ‘dama di compagnia’, perchè “vorremmo che la nostra Silvia abbia un’amica vera quando non ci saremo più”. E ci avevano visto lungo.
Io e Silvia abbiamo un sacco di cose in comune: siamo estroverse e innamorate della vita, entrambe laureate in lingue, dello stesso segno perchè nate esattamente a 19 anni e 364 giorni di distanza l’una dall’altra. Insieme abbiamo fatto ricerche al computer, traduzioni di francese, festeggiato compleanni, fatto passeggiate, fatto grandi chiacchierate, riso e scherzato moltissimo. E anche ora che Silvia non abita più a casa sua, ma in un centro dedicato, visto che i suoi genitori sono mancati non molto tempo fa, la vado a trovare appena riesco. E non perchè sia mossa dal pietismo o dalla compassione, ma perchè ho bisogno di lei. Dei suoi sorrisi, nonostante a volte sia molto triste; del suo buonumore, nonostante ne avrebbe di santi da maledire; della sua voglia di vivere, nonostante debba dipendere in tutto e per tutto dagli altri. Insieme a mia mamma e a una sua amica, nostra amica di famiglia, siamo andate a mangiarci una pizza: una serata così ordinaria per noi tre, ma così speciale per lei, che tutte le sere deve condividere un piatto di pastina con i suoi amici, uno con una malattia degenerativa al sistema nervoso, l’altro che non ci sta con la testa.
Come dev’essere difficile per lei, una splendida farfalla in un bozzo che mai si schiuderà. Silvia è la mia arma vincente contro il mal di vivere, da cui spesso siamo tentati di lasciarci pervadere: mi insegna a pensare agli altri anche quando i propri problemi sembrano insormontabili; mi insegna la forza di credere in Dio, anche quando sembra essersi dimenticato di te; mi insegna che non ci sono ostacoli insormontabili, a meno di quelli che ci creiamo noi stessi; mi insegna che la vita è fatta per essere vissuta fino in fondo, e se c’è un se o un ma, è solo colpa nostra; mi insegna che non c’è tempo da perdere: una giornata senza sorriso, è una giornata persa. Ogni volta che la vedo, mi insegna a vivere. Silvia è la mia salvezza.

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