Ieri sera osservavo il comportamento di Buzz, il mio cagnolone: posizionato sotto la mia sedia, muovendomi, l’ho preso dentro e gli ho inavvertitamente schiacciato la zampina. Ebbene, invece di ribellarsi e protestare per quel torto, si è messo a scodinzolare e a leccarmi e a cercarmi e a guaire, quasi a chiedere scusa, come se quello che era successo fosse colpa sua. È nell’indole dei cani, certo, subire del male da chi amano e pensare anche di meritarselo, perché ti amano incondizionatamente, senza compromessi, sempre, qualunque cosa tu faccia loro. Ma tendono anche a non dimenticare, se i torti che fai loro sono voluti e reiterati.
Così è anche per alcune donne: non riescono a non amare, nonostante le botte, le prese in giro, le bugie, le delusioni, le mancanze di rispetto. Lui può dirti che sei una cretina, può tentare di mortificarti, di umiliarti, può raccontarti le peggiori bugie, può urlarti dietro cose irripetibili, può approfittarsene di te, ma poi tanto sa che con un “Ti amo” ti ricompra. E tu giù a farti sottomettere, a farti andare bene cose che nemmeno nel Medioevo potevano funzionare, figurarsi oggi, a farti dire che sei una nullità, nonostante la carriera, costruita a colpi di fatica e sudore.
Il perché queste persone facciano così è abbastanza chiaro: insicuri e privi di personalità o incapaci di raggiungere qualsivoglia obiettivo nella vita, dalla laurea alla prenotazione di un biglietto del treno, hanno bisogno di rivalersi su chi dà loro un minimo di credito, facendoli sentire più merde di quanto in realtà non siano loro.
Il perché queste donne invece continuino a farsi prendere a pesci in faccia, provando a reagire, ma poi tornando al punto di partenza, mi è ancora un pochino oscuro: qual è il perverso meccanismo che ti porta a legarti a doppio filo a chi ti vuole male? Quale il motivo di andare incontro al proprio carnefice, invece che liberarsene una volta per tutte e accompagnarsi a qualcuno che ci apprezzi davvero per quello che siamo? Qualcuno la chiama la sindrome della crocerossina, ovvero il pensare di poter salvare anche l’irrecuperabile a suon d’amore e pazienza. “Con il mio amore, io lo cambierò e poi lo salverò”, certo, peccato che nel frattempo lui stia già cambiando te. In peggio. Altri fanno il paragone – calzante – che ho citato io prima, quello con i cani: tu li meni e loro pensano anche di meritarsele o che sia colpa loro. E non perché siano privi di personalità, anzi, ma perché hanno piena fiducia nel loro padrone e quindi, nel suo modo di amarli. Peccato che nel caso di una relazione, non vi siano padroni né sottomessi, ma due persone di pari valore e pari sentimenti.
Quante botte, quante bugie, quante lacrime, quante delusioni devono ancora passare, prima che definitivamente capiamo che quello non è amore, ma è follia, ossessione, dipendenza? Infinite, credo, perché non c’è limite al male che possono farci, tanto sanno che poi, presto o tardi, in qualche modo torneremo da loro. Nelle nostre fragilità, nelle nostre insicurezze, nel nostro credere di non meritarci l’amore, vedono un pertugio per affermare loro stessi, illudendosi di essere qualcuno, demolendo qualcun altro.
Ma uscire da questo tunnel si può: è un lungo lavoro da fare su se stesse, che prevede l’imparare a innamorarsi di sé, facendo spazio alla consapevolezza di meritarci l’amore. E non tutta quella merda che finora ci è stata buttata addosso e che noi abbiamo scambiato con il cioccolato, pensando che fosse il massimo in cui potevamo sperare. Perché come diceva John Lennon: “quando sarai molto innamorato di te stesso, potrai essere altrettanto felice, e potrai amare qualcuno”. Fino ad allora, starai solo perdendo tempo, illudendoti di qualcosa che non c’è.
Nell’epoca in cui viviamo danno molta più soddisfazione i flirt; brevi storie che non richiedono quell’abnegazione che per una donna è mortificante. I sacrifici hanno un senso quando il dolore viene compensato dalla gioia di avere accanto un uomo che è consapevole della sua immensa fortuna… deve essere così, non si tratta mica di nostro figlio? Nella stragrande maggioranza dei casi si comportano esattamente come dei figli e questo la dice lunga sulla storia dell’emancipazione femminile. Emanciparsi sulle spalle di altre donne è abbastanza comodo. I ragazzi vanno educati e preparati all’incontro con la madre dei loro figli. Che dire? Il progresso è stato regresso!
Già, continuiamo a sentirci madri anche con i nostri compagni, nonostante tutto. Rossella, mi trovi completamente d’accordo, e che bello ritrovarti qui: ben ritrovata! 🙂 Un abbraccio
Grazie a te! Un caro saluto 😉