Era da tanto che non scrivevo di film: dopo aver inaugurato la categoria “Gineforum” ormai quasi un anno fa, l’ho poi abbandonata a se stessa. Un errore cui pongo rimedio ora, parlandovi di un film romantico, melenso, strappalacrime, come quelli che piacciono a noi due – o a quasi tutte – e che ho rivisto non molto tempo fa in tv. Un film che è nella mia personalissima Top Ten e seppure sia una storia d’amore come tante raccontate sul grande schermo, riesce sempre a smuovere qualcosa dentro di me di profondo: “I ponti di Madison County”.
Sarà per i due grandi interpreti protagonisti, due dei miei attori preferiti, la grandissima Meryl Streep e l’intenso Clint Eastwood, sarà per la colonna sonora, che non appena la sento, inizio a piangere, fatto sta che due settimane fa, in attesa di vedere X Factor e facendo zapping, lo scopro per caso su Iris e mi incollo al televisore. Neanche due minuti e ho già il magone: perché la storia di Francesca potrebbe essere la storia di tutte noi. Una donna sposata, trasferitasi dall’Italia in America per amore del marito, due figli, una cascina e una vita che si trascina lentamente lungo i giorni, tra poche soddisfazioni, tanti sogni repressi e una passione matrimoniale ormai sopita. Fino a quando nella sua vita non capita per caso l’avventuroso e aitante fotografo Robert Kincaid, che con i suoi racconti di luoghi lontani, le sue maniere gentili, il suo fascino la ammalia e la fa sentire di nuovo viva. Una storia d’amore durata solo quattro giorni ma che le sconvolge la vita… o forse no. Perché nel momento in cui Francesca deve scegliere tra la famiglia e l’amore, opta per la prima, sacrificando se stessa per un bene più alto.
Quante ne conosco di storie così. Non c’è bisogno di un film per raccontare queste situazioni, storie di donne ma anche di uomini che per amore dell’altro danno tutto, rinunciano a tutto, anche a se stesse e abbandonano il sogno di una vita migliore, facendosi andare bene quello che già si ha. Uomini e donne che sopportano una vita mediocre, diversa da come l’avevano immaginata, perché “Non me la sento di mandare all’aria tutto”, “Ci sono i figli, come faccio?” o ancora “Ho paura di rimanere sola”. Quindi, meglio vivere a metà, pieni di rimpianti e rimorsi?
Di principio, non concepisco tradimenti o scappatelle, preferisco prevenire cercando il dialogo e il compromesso, ma se accadono, vuol dire che si è già in ritardo sulla tabella di marcia, che la nostra presenza si è già fatta mancanza, che ci sono delle lacune nel rapporto che forse si possono recuperare, ma chissà colmare. Francesca si sentiva intrappolata in un rapporto che aveva scelto, ma che forse sognava diverso, rispettava suo marito, ottimo padre, gran lavoratore, ma forse aveva smesso di amarlo molto tempo fa. E così molte donne di mia conoscenza. Alla domanda: “Ma tu lo ami tuo marito?”, nessuna, a parte poche, mi ha risposto: “Certo, come il primo giorno!”, la maggior parte si è limitata a un freddo: “Mi rispetta, mi vuole bene, ma ormai lo vedo come un fratello”, con lo sguardo perso nel vuoto. E al mio ribattere: “E non fai nulla per riprendere in mano questo rapporto?”, loro: “Eh cosa vuoi fare ormai, sono vecchia, non serve più la passione, e poi se anche lo lasciassi, chi mi vorrebbe?”.
E invece la passione è importante, ad ogni età: conosco coppie sposate da 70 anni, ancora innamoratissime e affiatatissime, quel tipo d’amore che consideri come una benedizione, un terno al lotto l’averlo incontrato, ma su cui poi sicuramente han lavorato molto per poterlo mantenere così. Il trucco – mi raccontò Severino, uno di questi fortunati – è non dar mai l’altro per scontato, ma farlo sentire sempre come se fosse al primo posto per noi: “Tornavo sempre a casa da mia moglie con un fiore, una carezza, e lei non mi mise mai da parte, neppure con l’arrivo dei figli. Lei era la mia roccia, la mia spalla, la mia compagna e io cercavo di essere lo stesso per lei, ogni giorno”. Oggi Severino non c’è più, ma lo ricordo ancora con che occhi mi parlava di lei, dell’amore della sua vita. Aveva 90 anni, qualche osso rotto, la testa malandata ma i ricordi del suo matrimonio tutti intatti.
A questo ambisco nella mia vita: a non dover mai rimpiangere quello che avrebbe potuto essere con un altro, a non dover mai rimpiangere quello che avrei potuto essere con un altro, a non aver mai paura che lui non possa pensare a me come all’amore della sua vita, ad accoglierlo ogni mattina tra le mie braccia al nostro risveglio come fosse la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. A sceglierlo ogni giorno, facendomi scegliere da lui. A non accontentarmi di chi siamo, ma essere ogni giorno migliori rispetto a ieri, insieme. Il suo sorriso, i miei occhi illuminati. E fare sempre in modo che gli altri che mi passano accanto non li veda nemmeno. Questo sarebbe (sarà) il mio traguardo più grande.
Non condivido il tuo punto di vista! Io mi trasferirei volentieri ovunque senza per questo rinunciare alla mia libertà. Che poi si cambia vita a prescindere! Magari se te lo dice una disoccupata ti sembra un pensiero scontato, magari pensi che non ho ambizioni e a limite se la mia vita avesse preso un’altra direzione la penserei sicuramente in un altro modo! Ti concedo il beneficio del dubbio!
Che dire? Penso che la libertà sia come la solitudine: se ne parla! Sono due realtà che ti mettono in contatto con te stessa e magari potresti aver paura di essere libera tanto quanto di essere sola. Infatti si fugge in egual misura sia dalla libertà che dalla solitudine. Il matrimonio ti mette davanti a questa realtà e quindi sembra una trappola perché hai degli obblighi che si chiamano abitudini. Prima di sposarsi si dovrebbe imparare ad essere liberi e a non temere la solitudine. Si dovrebbe imparare a prescindere perché sono due aspetti che potrebbero indurti a scendere a patti con la tua dignità. Anche un giovane dovrebbe guadagnarsi qualche momento d’astrazione perché vivere le relazioni familiari significa anche imparare a fare i conti con l’idea che molto probabilmente non ti sentirai compreso da tuo marito, dai tuoi suoceri e finanche dai tuoi figli: questo è il prezzo della libertà! Se sei un accentratore allora fai bene a scappare perché amare significa anche concedere agli altri la libertà di emanciparsi dalle tue convinzioni. Però è reciproco. Io la vedo così! Ma anche in ambito lavorativo o nelle amicizie bisognerebbe approdare alla consapevolezza che sei libero a prescindere dalla tua realizzazione. Quindi fiorisce l’autostima e l’apertura al mondo. C’è sempre qualcosa di politico in ogni discorso, infatti il tuo post mi ha fatto pensare alla democrazia.
Un caro saluto
Hai ragione anche tu, cara Rossella: essere liberi e indipendenti a prescindere dall’altro. Ma non tutti hanno questa consapevolezza, e allora vanno capite quali sono le nostre priorità, prima di fare sbagli di cui pentirsi. Ti abbraccio!
Evidentemente non mi sono espressa bene! In realtà penso che il fidanzamento sia una scelta, il matrimonio lo è a maggior ragione, quindi l’indipendenza o la libertà prescindere dall’altro non sono una mia prerogativa. Un caro saluto
Sì, allora avevo capito male io! Scusa! 😉 Un abbraccio