Oggi vi racconto la storia di due innamorati, una storia semplice, senza troppi colpi di scena, ma esemplare.
Si chiamavano Elisabetta e Serafino. Due nomi importanti, altisonanti, troppo per due ragazzi poveri, di estrazione contadina nel Veneto del secondo dopoguerra. Molto meglio Isetta e Ino. Nati entrambi agli inizi degli Anni Venti, abitavano in due paesini vicini nella campagna vicino a Vicenza. Conoscono da vicino gli anni del Fascismo, della guerra, la fame e la miseria, ma passano indenni attraverso le vicissitudini della Storia, traendone insegnamenti preziosi e avendo cura di ogni singola cicatrice lasciata sul loro cuore. Gli anni passano, gli incubi della guerra sembrano lontani ormai, l’Italia si sta lentamente riprendendo… Anche la vita di Isetta trascorre serena, tra i lavori nei campi e l’aiuto in casa, con la sua mamma e i suoi due fratelli.
Finchè un giorno, per caso, i suoi occhi si incrociano con quelli di Ino… Ha solo un anno in più, ma sembra molto più maturo, pare un divo del cinema. Ed è subito amore. Dopo pochi anni di fidanzamento, in un freddo giorno di gennaio a metà degli anni Cinquanta, Isetta e Ino convolano a nozze, circondati dall’affetto di tutti i parenti. Un matrimonio semplice, senza fronzoli: nessun abito bianco per lei, ma solo un paletot per combattere il gelo dell’inverno e un bouquet di rose bianche, come segno distintivo del suo nuovo ruolo di moglie. Per lui, un completo elegante cucito a mano dalla mamma e un sorriso nuovo negli occhi, con la consapevolezza di essere ora il punto di riferimento e il sostegno di Isetta e dei figli che verranno.
E non tardano ad arrivare: nel giro di due anni, la famiglia si allarga e accoglie Floriano ed Elvirene. Ma i soldi sono pochi, lavoro non ce n’è e Ino, a malincuore, si vede costretto a lasciare con tutta la sua famiglia la sua amata terra per emigrare in cerca di fortuna. E la trova in Lombardia, in provincia di Milano, dove inizia a lavorare come operaio in fonderia. È un lavoro duro, pesante, 12 ore in fabbrica e poi a casa, in bicicletta, macinando 20 km all’andata e 20 al ritorno, tutti i giorni. Fortuna che a casa ad aspettarlo ci sono Isetta e i suoi bambini, che nel frattempo sono diventati quattro, che gli danno sempre il benvenuto quando torna a casa la sera e gli dimostrano tutto il loro affetto. La casa dove sono ora, però, è troppo piccola per ospitarli tutti quanti, meglio trovarne una più grande, sperando di potersela permettere. Isetta, intanto, con qualche lavoretto come sarta cerca di arrotondare. Vengono a sapere che vicino a casa, a qualche isolato di distanza, vi è un edificio vecchio, in vendita. Speriamo non costi troppo, pensa Ino… e così è. Lo acquistano e iniziano a ristrutturarlo, facendolo diventare la casa dei sogni, che poi diventerà il quartier generale delle rimpatriate di famiglia. Quanti sacrifici, quanto sudore, quante rinunce… ma ai loro quattro bambini non fanno mai mancare nulla e insegnano il valore dello stare insieme, uniti per uno scopo più grande.
Passano gli anni, i figli crescono ed è già ora che si sposino a loro volta. A Isetta e Ino non sembra vero, pare ieri che sono nati… Il nido si svuota, rimangono loro due, ma non per molto. Ben presto, infatti, la famiglia viene benedetta con l’arrivo del primo nipotino, un maschietto. Isetta e Ino diventano nonni e i loro cuori traboccano dalla felicità. Una gioia destinata a moltiplicarsi molte volte, ben nove, una per ciascun nipote. Sembra che ora la vita sorrida: i figli sono sistemati con le loro famiglie, i nipotini sono tutti sani e belli, Isetta e Ino non hanno più pensieri, ma solo viversi il tempo che rimane loro insieme. Potrebbero divertirsi un po’, godersi l’inaspettato tempo libero, facendo qualche viaggetto, ma niente, il loro stile di vita rimane umile: a un viaggio in giro per l’Italia preferiscono una gita in giornata in Veneto, a una camicetta comprata in boutique una confezionata a mano da Isetta, a un pranzo al ristorante uno cucinato insieme in famiglia. Come in ogni matrimonio che si rispetti, non mancano certo i litigi: quante volte Ino inforca la sua bici e si rintana nel suo orto per non sentire Isetta parlare? E quante volte si chiude a chiave in sala e sua moglie usa come scusa sua nipote per farsi aprire? Ma poi, ogni volta, Ino apre la porta e esce dal suo guscio. E torna la pace.
Ino e Isetta oggi non ci sono più. Ino se n’è andato otto anni fa e Isetta l’ha raggiunto qualche settimana fa, andandosene esattamente il giorno dopo il suo anniversario, come a voler essere uniti anche nell’ultimo viaggio. Qui rimaniamo noi, rimango io, testimone privilegiata di due persone semplici, eccezionali proprio perché normali. Un amore solido, fondato sul rispetto reciproco e sull’affetto sincero. Un matrimonio durato cinquant’anni, reale e concreto, dove l’importante era condividere la vita e gli ideali, ma poi coltivare ognuno i suoi interessi e rispettare le abitudini dell’altro.
In una società in cui il valore della famiglia sembra sempre più fragile, in cui è più facile dividersi davanti alle difficoltà che stare insieme e lottare per riuscire, in un’Italia in apnea, dove si predica di tornare a stili di vita più morigerati e contenuti per far fronte a una crisi economica sempre più attanagliante, io rispondo con la vita dei miei nonni: due persone non certo ricche in banca, ma sicuramente ricche di spirito e piene di voglia di farcela.
Nei miei sogni, vi è sicuramente in prima posizione quello di sposarmi e formarmi una famiglia, anche se i tempi che corrono spaventano e fanno desistere. Ma ho davanti a me sempre l’esempio di matrimonio di Isetta e Ino, e negli occhi il volto del nonno quando apriva la porta della sala e vedeva la nonna. E allora non mi spaventa più nulla.

Grazie Francesca, una storia bellissima e commovente! Buona vita a te e che i tuoi sogni si avverino!
Grazie Francesca, distogliere l’attenzione per qualche minuto e leggere questa storia meravigliosa …un motivo di riflessione: “due persone non certo ricche in banca, ma sicuramente ricche di spirito e piene di voglia di farcela”.
Grazie a voi, ragazze!
Questa è la mia storia, sono le mie radici. Quella che sono ora e quello che mi porto dentro è merito anche e soprattutto loro. E raccontare la loro storia non può che portare un pizzico di speranza.