Ho passato una vita a credere di essere una chitarra, poi un’altra vita a desiderare di essere batteria. Ma no. Oggi ho avuto chiaro cosa sarei se fossi musica.
Mentre scrivevo, cantava in sottofondo Brandon Boyd e mi chiedeva: “Are you in?”. Mi cade l’orecchio sulla melodia, quelle note che mi colpiscono nel profondo. Una linea di basso pazzesca, non ci avevo mai fatto caso. Così ho realizzato.
Nella vita sono una linea armonica pazzesca, a cui quasi nessuno fa mai caso, ma che ti colpisce nel profondo. Sono la sottotraccia che suona quasi sempre per i cazzi suoi, ma che sostiene tutta la melodia. Sono lo strumento che passa sempre in terzo piano, ma che quando si prende la scena, se la prende in grande stile. Sono il dundundundudududun di “Under pressure” o le dita di John McVie che pizzicano le corde in “The chain” dei Fleetwood Mac: difficile immaginare tali capolavori senza quei giri di basso. Sono la melodia all’apparenza imballabile, ma che se la sai cogliere, ti pulsa dentro e ti guida. Sono difficile da comprendere, forse difficile da imparare, di certo ci vuole più vigore e forza rispetto a una chitarra per far vibrare le mie corde.
Sono il tuono che annuncia la tempesta, sono le note che in pochi riescono a prendere, sono il grano di pepe che scarti, ma che lascia il suo aroma, sono il battito che aumenta prima dell’orgasmo. Sono la scelta meno scontata, ma che ti cambia la vita.

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