“Francy, sai che debutto alla regia?”. “Ah sì? Allora parliamone”. Perché quando si realizzano i sogni è sempre bello condividerne le emozioni e perché qui la regista in questione è Olivia Balzar, scrittrice e attrice di origine piemontese, ma soprattutto ex collega di redazione, con la quale mi è capitato di condividere il palco per la presentazione della raccolta di racconti “Streghe postmoderne”, edito da AlterEgo.
Ora debutta alla regia di “In Nomine Matrum”, la sua opera di esordio in questa veste, che andrà in scena l’11 e il 12 maggio alle 21 presso il Teatro Ivelise di Via Capo d’Africa a Roma. Caratterizzato da una narrazione frammentaria e onirica, lo spettacolo trae ispirazione dal “Suspiria de Profundis” di Thomas de Quincey, autore visionario e decadente, e mette in scena il sogno lucido dello scrittore, grazie al dialogo tra forme d’arte diverse. Non vi è un vero e proprio protagonista, ma tableaux vivants in perfetto equilibrio fra tre dimensioni: quella ottocentesca dello scrittore in crisi con se stesso e con i suoi fantasmi, quella onirica e inquietante di Levana e le Tre Madri che infestano i suoi incubi e infine quella attuale, condivisa con il pubblico, dove una figura dalle sembianze umane, ma dalle origini oscure, accompagna gli spettatori in questo viaggio tra i tormenti, le paure e gli eccessi di un uomo allo sbando, prigioniero di se stesso e schiavo di tutto ciò che ha osato amare.
Nel cast, oltre a Olivia Balzar, nel ruolo della Mater Suspiriorum, anche l’attrice Mariaelena Masetti Zannini, nel ruolo della Mater Lachrymarum, e Giuditta Sin, nel ruolo della Mater Tenebrarum. Al loro fianco, Giacomo di Biasio che interpreta il ruolo di Thomas De Quincey; Red Lily nei panni di Levana e Joe Filippi, voce narrante e filo conduttore della vicenda.
Conoscendo bene Olivia, non potevo lasciarmi sfuggire una chiacchierata con lei, per saperne di più…
Olivia, sei speaker radiofonica, scrittrice e attrice. Ora anche regista. Ma chi è davvero Olivia Balzar? Descriviti in 3 parole: “Citando una canzone dei Cure, tre parole in inglese: “Strange as Angels”. Sono un’Alice metropolitana in continua ricerca del suo paese delle meraviglie, innamorata di arte e musica e stregata dall’età di tre anni dall’odore del legno del palcoscenico e dal tocco del velluto rosso”.
Com’è essere alla regia di un proprio spettacolo? Cosa ha significato per te? “A un certo punto ho deciso di fare questo salto, spinta dal desiderio di mettermi in gioco, dall’energia positiva di alcune persone che ho accanto (e ora anche nel cast) e dall’urgenza che alcuni personaggi avevano di prendere vita. Fare la regista è un lavoro a tempo pieno che ha che fare con le visioni, la realizzazione concreta dell’opera, ma anche e soprattutto il lato umano: mai perdere la calma e mantenere sempre l’obiettivo, ascoltando le esigenze degli attori e dialogando il più possibile con loro. Spero di essere stata all’altezza di questo ruolo. Come ha detto una mia amica, scherzando: “Per fare i registi bisogna essere completamente pazzi!”. Be’, le devo dar ragione, a volte quando incontro difficoltà mi chiedo chi me lo ha fatto fare, ma basta vedere l’impegno e il talento del mio cast per farmi tornare la grinta e ricordare perché ho fatto questa scelta”.
Perché proprio questo soggetto? Come l’hai scelto? “Sono da sempre ossessionata dalla figura delle Tre Madri intorno alle quali Dario Argento (mio grande idolo) ha creato un’intera mitologia che ha fatto la storia del cinema horror. Ma le Nostre Signore del Dolore sono sempre esistite. Non sono mai nate e mai moriranno. Thomas De Quincey ne parla nel suo Suspiria De Profundis. Io descrivo proprio l’incontro tra lo scrittore e la Dea Levana che gli presenta queste dame. Forse le ho incontrate anche io in passato. Forse le avete incontrate anche voi e non lo ricordate. Tutti siamo stati cullati da Tre Madri che hanno influenzato i nostri destini. Così dicono, almeno… Era da anni che volevo scrivere di loro. Poi un giorno ho ascoltato dei pezzi strumentali del musicista romano Umberto Sartini e ho cominciato a scrivere e ad avere la visione di ciò che avrei voluto realizzare. Ovviamente questi pezzi sono nella colonna sonora dello spettacolo!”.
Da sempre attraverso le tue opere, i tuoi scritti, hai cercato di sondare le profondità dell’animo umano: cosa hai capito? “L’animo umano è un pozzo senza fondo, un labirinto di specchi nel quale ci si perde. Mi piace muovermi nell’abisso, strisciare tra le ombre e trovare la salvezza in ciò che voi altri chiamate orrore”.
Come hai scelto il cast? “È stato molto facile. Mentre scrivevo il copione sapevo già chi doveva esserci. Ho scelto un cast di professionisti che stimo e che amo: Mariaelena Masetti Zannini per il suo immenso talento e la sua anima visionaria, Giuditta Sin per i mondi incredibili che riesce a creare con la sua bellezza eterea e velenosa, Red Lily perché lavorare con lei è sempre un privilegio, Joe Filippi per l’attitudine, l’energia e la passione che ci mette a fare ogni cosa, Giacomo di Biasio perché è così che mi immagino Thomas De Quincey. E poi abbiamo l’occasione di avere un pianoforte sulla scena e un musicista bravissimo, Antonio Melillo, scelto perché non poteva essere nessun altro che lui a suonare quei tasti”.
Ci saranno altre date fuori da Roma? “Per adesso le date sono l’11 e il 12 maggio al Teatro Ivelise di Roma, scelto con cura tra tanti perché mi sono subito sentita a casa. Poi si vedrà. Mi piacerebbe portare questo spettacolo al Nord Italia. Chissà…”.
Prossimi progetti in cantiere? A cosa stai lavorando? “La prossima stagione voglio tornare in scena con “Le cose buone fanno male”, lo spettacolo diretto da Mariaelena Masetti Zannini, tratto dal mio racconto, raccolto nell’antologia “Streghe postmoderne” e che mi vede protagonista. L’anno scorso ha registrato tre giorni di sold out al Teatro dell’Orologio di Roma e non vedo l’ora di tornare a metterci le mani per dargli nuova vita insieme alla mia fida regista!”.
Info: “In nomine matrum”, 11-12 maggio, ore 21, Teatro Ivelise di Via Capo d’Africa, Roma
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