«Ho una malattia, ma non sono malato. È questa malattia che mi ha fatto entrare nella mia dodicesima stanza. Era buia. Per il solo fatto di esserci entrato, ho disimparato tutto: a parlare, camminare, suonare. E poi ho imparato tutto di nuovo. È come se fossi rinato. È stato sulla sua soglia che hanno cominciato a sbocciare delle cose, a cadere delle reti. […] Non ho più guardato al futuro, solo alla fine della giornata. Fa paura, il futuro. Fa paura pensare di averlo, e per questo ho imparato a ridisegnare il mio orizzonte. So che il mio corpo cade, e io cado. Si dice che se si cade ci si rialza, ma io non lo so se un giorno mi rialzo più. Però non mi importa. Non è una difesa, davvero non mi importa. Io sono fortunato: ogni giorno che ho guadagnato, ogni sguardo che ho ricevuto, ogni affetto che ho saputo dare, ogni piatto che ho cucinato è la mia vita».
Da un’intervista di Vanity Fair a Ezio Bosso
Mercoledì sera, Festival di Sanremo.
Io apprendo solo il giorno successivo che ospite da Carlo Conti c’è Ezio Bosso, compositore e direttore d’orchestra, affetto da una malattia autoimmune degenerativa alla quale, a un certo punto, si è unito un tumore al cervello. Un artista che non conosco bene, ma di cui ho letto qualche mese fa su Vanity Fair e sulla cui esibizione sanremese tutti dicono meraviglie. Corro a cercare lo spezzone su Google. E in effetti. Lacrime e commozione, perché quello che dice non sono retorica o frasi fatte, ma la consapevolezza di un uomo che si gode ogni istante come fosse l’ultimo, anche perché sa che l’ultimo potrebbe essere molto vicino.
Una settimana prima, spogliatoio femminile di pallavolo.
“Dai, glielo regali a San Valentino…”.
“Ma va, cheee?! Niente San Valentino, io non festeggio. Che festa è? Il tripudio della commercialità e dell’ipocrisia”.
“Hai ragione, anche io non faccio nulla. Mai fatto nulla in vita mia”.
“A me invece lui mi porta a Madrid” (sorrisone).
Due giorni prima di San Valentino, casa.
Dopodomani è San Valentino, l’idea era quella di andare nei nostri posti in montagna, ma non so dire come starà lui: questa volta il ciclo di chemio è stato bello pesante e l’ha stremato più del solito. Ci sarebbe piaciuto festeggiare, fare qualcosa di particolare insieme, ma fa nulla, anche se rimarremo qui, a casa, noi due, una pizza e una Coca Cola, sarà altrettanto magico. San Valentino può essere la cosa meno commerciale, se solo lo si condisce con un po’ d’amore. E soprattutto può essere una bella occasione per festeggiare, per celebrare la vita, le cose belle, le cose che ci regalano dei sorrisi: non sappiamo mai cosa può riservarci il futuro domani, se avremo ancora la possibilità di guardarci negli occhi, di abbracciarci, di dirci ti amo. È vero, questo dovrebbe essere all’ordine del giorno, l’amore andrebbe celebrato tutti i giorni, ma visto che siamo così poco avvezzi ad accorgerci delle cose belle, tanto da darle per scontate, che meraviglia è avere un’occasione per farlo?
Ogni giorno è un giorno buono per fare festa, anche le ricorrenze comandate e commerciali: me l’ha insegnato Ezio, me lo dimostra ogni giorno Teo, che riesce a trovare sorrisi nella sofferenza. Il tempo che impieghiamo per denigrare e mostrarci controcorrente potremmo impiegarlo per ritagliare tanti fiorellini di carta, cucinare la miglior pasta aglio olio e peperoncino della nostra vita e regalarci un sorriso. È San Valentino, perdinci: abbandoniamoci all’amore, celebriamo la gioia di vivere.

Ben detto! Penso che i matrimoni reali abbiano contribuito a inaugurare una stagione di abbandono alla vita. Quel clima di rinnovamento ha portato tanta speranza. Dalla Spagna all’Inghilterra, passando per il principato di Monaco, le cose più grandi sono diventate piccole. Infatti riflettevo sul fatto che fino a qualche anno fa quella storia sembrava una faccenda altrui. Ti auguro buon fine settimana! Un caro saluto 😉
Bisogna sempre festeggiare, questa vita è troppo troppo breve! Ti abbraccio, cara :*
Ben detto! Un saluto affettuoso 🙂