Ti voglio bene. Voglio vederti. Dammi il tuo indirizzo, voglio farti un regalo. Voglio venire da te. Illumini, sei magnetica, mi attrai. Mi ispiri. Mi guidi. Mi dai la forza. Mi abbracci? Mi abbraccerai? Sei una donna vera, forte, incredibile, fantastica.
Perché siete così buoni con me? Perché mi amate così tanto? Io mi detesto. Soffro della sindrome dell’impostore. Come sono arrivata a questo punto, a essere chi sono? Mi sembra di non aver vissuto la vita che ho avuto. Eppure ero io, potrei raccontarne ogni secondo, ogni istante. Ma a ogni traguardo non mi sono mai fermata a dirmi brava. Aspettavo fosse sempre qualcun altro. E c’era anche qualcun altro a dirmelo, ma non gli ho mai creduto. Perché non mi credevo mai abbastanza. Perché il più figo, il più carismatico, il più buono, il più desiderato, dovrebbe voler me? Ecco come ci si tradisce.
Non consentivo a nessuno di avvicinarsi a me perché avevo paura di non saper gestirmi. Di non saper svestirmi. Ora lo sono fin troppo. Ho dei tagli sul cuore e nelle viscere non ancora cicatrizzati. Sanguinano: attirano i predatori, allontanano gli impressionabili. Ma non ho paura del confronto: all’inevitabile son già stata prostrata. Ho già sepolto la vecchia Francesca: tutta cuore, una mano ogni tanto emerge dalla terra a ricordarmi che esiste.
Ora riavvolgo il nastro. Sono ferma ai miei 18 anni. Veronica canta: “È una promessa che faccio a me stessa, io mi riprendo quello che mi hai portato via”. Ho ricevuto tanto, ma ho perduto anche tanto. Piango di un magone che mi mangia la gola, la seconda volta in poche ore. Cristina mi conosce, anche se non ci vediamo da 10 anni. Ha detto che in quella canzone ci ha visto dentro me.
Ancora una volta, altri che mi vedono dentro. Ingenua, mi hanno detto. Ho solo 18 anni, infatti. Come altro dovrei essere? Mi apri gli occhi e ci vedi l’anima. Forse sono troppo vetro, ma diventerò cristallo. Fragile, tagliente, capace di risuonare se con delicatezza mi sfiori gli angoli.
[Now listening: “Questo corpo” – La rappresentante di lista]
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