Ogni anello che indosso ha per me un significato particolarissimo. Non particolarmente amante del genere, mi sono ritrovata nel corso del tempo a indossarne cinque: c’è il primo che mi ha regalato Teo appena messi insieme; poi c’è quello in pietra infilatomi al dito in mezzo ad Alexanderplatz a Berlino; poi ce n’è un altro, semplicissimo, che Teo comprò da un venditore ambulante a uno dei nostri tornei di beach volley; e ancora, quello con il cuore rosso smaltato che abbiamo comprato a Pitigliano quest’estate. E infine, c’è quello che racchiude tutta la mia famiglia, i valori per me importanti: è un rosario del Santuario della Madonna di Monte Berico, cui erano devotissimi i miei nonni paterni, regalatomi da mia sorella qualche anno fa. È usurato e consunto e rovinato e brutto, ma senza mi sento nuda. A dire il vero, senza ognuno dei miei anelli mi sento a disagio: una volta, già sulla via per le vacanze, son tornata indietro a casa a prendere il mio anellino d’argento perché senza non ero tranquilla.
Fatto sta che l’altra mattina, uscendo di casa, dopo un po’ mi accorgo di non averlo indosso, ma sono serena perchè convinta di averlo lasciato a casa. Dopo poco mi chiama Teo, dicendomi di averlo lui tra le mani, dopo averlo ritrovato sulla banchina della stazione: lì per lì, ho pianto di gioia. Per diversi motivi: avrei potuto perderlo per sempre, se il caso non avesse voluto che quel giorno entrambi avessimo dovuto prendere il treno. Ma soprattutto tra tutti coloro che potevano appropriarsene (o forse no, visto il poco valore e quanto è rovinato), quest’anello è stato raccolto dall’unico che poteva riconoscerlo e ritrovarlo. L’unico che conosce il valore e i valori racchiusi in quel pezzettino di metallo: è come se mi fosse stato regalato per la seconda volta. Era l’unico anello che non mi era stato donato da Teo, ma ora è come se lo fosse, come se fosse una riprova che lui fa parte della mia famiglia, che lui è la mia famiglia. Le cose non capitano mai per caso.
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