Vi ricordate quando da piccoli a ogni cosa che ci spiegavano mamma e papà noi replicavamo “Perché?”, per far loro perdere tempo o anche solo per metterli in difficoltà? Poi alla fine non si arrivava a una conclusione, poiché non vi era nessuna spiegazione che potesse convincerci della bontà della loro risposta.
Ecco, lo stesso è da adulti: quanto spesso ci arrovelliamo sulle cose, in cerca di una spiegazione logica? Perché non mi risponde, seppure è sempre collegato? Perché non mi richiama, se l’ultima volta ha detto di amarmi ancora? Perché questa fattura non è stata pagata, sebbene sia stata mandata lo stesso giorno delle altre già saldate? Piccoli grandi quesiti a cui è inutile cercare di rispondere, tanto una risposta univoca e sensata non c’è. Più ci chiediamo perché, più ci mettiamo in difficoltà, più ci mettiamo in difficoltà, più perdiamo tempo, più perdiamo tempo, più diventiamo ansiosi. Proprio come quando da piccoli mettevamo in difficoltà i nostri genitori, senza arrivare a un dunque.
E volete saperla la verità? Un dunque non c’è, in realtà. Perché la maggior parte delle nostre paure, delle nostre insicurezze derivano dagli altri e gli altri sono persone, esseri umani pieni di incoerenze e di certezze sconclusionate, proprio come noi. Ho smesso di chiedermi perché e questa settimana ho avuto la conferma che è la scelta giusta.
Ho imparato a lasciare che le cose semplicemente avvengano, senza trovare un significato recondito dietro ogni avvenimento: spesso le persone fanno cose senza senso e non devo certo mettermi lì io a darglielo. Ho imparato a focalizzarmi sui miei perché: perché ho reagito così, perché ho paura di questo e quell’altro, perché non riesco a dare di più. Sui miei perché ho margine di miglioramento, ma soprattutto posso lavorare su una risposta che mi soddisfi, che mi convinca. Su di me ho voglia di perdere tempo, di mettermi in difficoltà per avere lo stimolo a diventare la versione migliore di me stessa. Sugli altri ho smesso di farmi domande molto tempo fa.

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