Catania, un caldo pomeriggio d’autunno. Lei è seduta in questa graniteria del centro, è in compagnia di una coppia, ma sembra scrutarsi attorno, attenta a non perdersi nemmeno uno sguardo, nemmeno un secondo di quello che sta succedendo. Non sembra annoiata, in compenso sembra molto giovane ed esuberante. Attende che arrivi la sua coppa di gelato, di cui le sarà concesso assaggiare solo qualche cucchiaino.
All’improvviso, ecco arrivare lui: in compagnia di un amico, si accomoda poco lontano. Bello, biondo, possente, con due spalle ben piazzate, è subito intesa con lei, più magrolina, piccolina, con poche forme ma slanciata. Da subito cominciano a guardarsi di sottecchi, ad annusarsi, ad avvicinarsi, a emozionarsi… Ma non possono stare vicini, disturberebbero gli altri avventori del bar. Perché il loro è un incontro rumoroso, pieno di gioia, difficile da contenere. E così rimangono distanti ma abbastanza vicini per corteggiarsi.
Entrambi inchiodati alle loro postazioni, cercano però di avvicinarsi il più possibile, perché sentono che c’è qualcosa di più tra di loro, fosse soltanto anche una semplice amicizia. Così lei comincia a strisciare verso di lui, lui a fare altrettanto verso di lei ed entrambi a guardarsi con occhi lucidi, cercando di non farsi scoprire dai loro padroni. Minuti che durano attimi infiniti, in cui si consuma un amore impossibile. Moderni Romeo e Giulietta, ma con il pelo. Lui comincia a guaire sommessamente, dichiarando al mondo la sua sofferenza nello starle lontano; lei risponde scodinzolando e strisciando, sperando di riuscire almeno a unire le loro zampe.
Fino a che l’idillio non viene interrotto dal padrone, che la allontana con uno strattone, riportandola all’ordine e con i piedi per terra. Scopro così che la piccola si chiama Tequila, ha solo sei mesi, è tanto affettuosa, curiosa e giocherellona. Lui invece appare più impostato, sicuramente più anziano, ma non smette di toglierle gli occhi di dosso. Idealmente lo ribattezzo Bonetti, come il poliziotto del telefilm in voga negli anni Novanta, che lavorava insieme a un cagnolone, razza Dogue de Bordeaux, cui un po’ assomiglia, e perché così ripristino l’avvincente accoppiata, almeno nei nomi.
Sono stati dieci minuti intensissimi, in cui sono rimasta col fiato mozzato e i lucciconi agli occhi, proprio come quando lessi Shakespeare alle superiori o vidi Titanic per la prima volta al cinema. E poi non venitemi a dire che gli animali sono privi di sentimenti: ne hanno ben più di alcuni bipedi che popolano il nostro pianeta.

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