Sia la nonna Isetta che la nonna Teresa avevano un’abitudine. Prendevano la rubrica del telefono, si avvicinavano al telefono a rotella, inforcavano gli occhiali e facevano il giro di telefonate ai parenti vicini e lontani per sentire come stavano. Un’abitudine ereditata dalla mia mamma e per cui la prendevo in giro.
Oggi, in questa situazione d’emergenza, ho preso il cellulare e mi sono messa a chiamare: amiche, colleghe, persone che non sentivo da un po’. Ho mandato messaggi, vocali, ho fatto almeno una decina di telefonate. E solo per sapere come stavano.
Solo due settimane fa avrei considerato questa giornata tempo perso; oggi invece la considero una giornata che mi ha arricchito, che mi ha lasciato qualcosa. Una mia amica, dopo il mio vocale, mi ha richiamato, dicendomi: “Ma tu hai scritto a me solo per sapere come stavo? Ma non ero abituata, nessuno l’ha mai fatto. Grazie”.
Nel mondo di prima non eravamo più abituati alle cose più ovvie, mi piace pensare che nel mondo che verrà ricominceremo a preoccuparci l’uno dell’altro, partendo dalle cose più semplici, come un “come stai?”. Le cose semplici, che ci rendono felici, e che son sempre state sotto i nostri occhi, solo che eravamo troppo ciechi per vederle. E dire che le nostre nonne sapevano già tutto, bastava solo osservarle.

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