Giorni pieni, giorni convulsi. Il lavoro da organizzare, i clienti da rincorrere, i bonifici che dovrebbero essere già lì, invece diventano una caccia al tesoro, i suoi esami che si avvicinano, un futuro da immaginare, ma che si rivela più complicato del previsto… Chi aveva detto che diventare grandi era difficile, mentiva: è proprio un casino! Troppe cose da fare, da pensare, da risolvere e troppo abituata da sempre a fare tutto da sola, a sbrigarmela da me, senza lamentarmi, senza chiedere, senza sfogarmi. Lo faccio ultimamente, chiedo un piccolo sostegno a chi del quale so che posso fidarmi ciecamente, ma mi pesa. Mi pesa perché chiedere aiuto vuol dire esporsi, essere vulnerabili, essere in debito. E io non sono abituata.
Cresciuta in mezzo alle responsabilità, tendo da sempre a farmi carico anche dei problemi altrui, per alleviare un po’ il cammino a chi mi sta vicino. Cercando di avere sempre il sorriso stampato in faccia, perché so che questo può aiutare anche chi sorridere non sa. Ma si arriva a un certo punto in cui si implode, in cui reggere tutto il peso del mondo da soli non si può: cercare di mantenere la facciata, ma dentro urlare a più non posso. E ti dici: non posso mollare, non ora, anche se ti verrebbe voglia di mandare affanculo tutti e tutto e sparire per un po’.
E in questi momenti ti viene da pensare che forse la felicità è sopravvalutata, che è questione di attimi, che se mi becchi nel momento no, qualche risposta stonata può scappare anche a me, che sono più i momenti in cui ho voglia di silenzio che quelli in cui faccio la buffona, facendo finta che vada tutto bene. Che anch’io sono fragile, che avrei bisogno anch’io di qualcuno che passasse sopra il mio essere stronza per una volta, senza giudicarmi, ma solo stando in silenzio e abbracciandomi, magari. Che sono stronza lo so anch’io, in quel momento, non c’è bisogno che me lo si dica, ma non so fare altro che così per reagire, per venirne fuori, per richiamare l’attenzione.
“A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”, cantava un grande cantautore qualche anno fa. Perché non è vero che i forti non cadono mai, ogni tanto hanno bisogno anche loro di vacillare, di buttarsi a terra e di sentire quanto male fa, di incazzarsi o di odiare il mondo. E in quel momento di non dover spiegazioni a nessuno, ma di essere presi per mano, in silenzio. Come a dire: “Io ci sono, io ci sarò”. Nonostante tutto.
È proprio per questo che ieri cercavo sempre la tua coscia e di stringerti la mano Puffolino.. Ti amo.
Lo so, grazie di esserci. Sempre.