Cosa significa rimanere soli, dopo una vita passata insieme, dopo che l’altro se ne va per sempre senza lasciare diritto di replica? Probabilmente significa morirci assieme, ma dentro, lasciandosi mangiare lentamente dal ricordo e da qualche rimpianto che ci trasciniamo dietro. Piano piano però si ricomincia a vivere, ce ne si fa una ragione, si trova il buono della vita, laddove ci ha strappato il compagno di viaggio, ci ha lasciato una sedia vuota di fronte e qualche pasto da consumare da soli.
Ma cosa può voler dire, invece, rimanere soli con l’altro ancora al nostro fianco fisicamente, ma che non sa più chi è lui, chi siamo noi, cosa ci fa qui? Lascia un senso di impotenza e di frustrazione, vedere spegnersi pian piano colui che un tempo era volitivo, gagliardo, attivo, intraprendente e ci riempiva le giornate solo con la sua presenza. Lascia un senso di rabbia vederlo combattere contro una malattia subdola che azzera l’autonomia, la dignità e i ricordi e ti lascia inerme, regredito al pari di un fanciullo, in un corpo adulto, però. Significa perdere giorno dopo giorno la persona che ami, che magari non ti ama più o che non sa di amarti, pur continuandola ad amare anche più di prima, ecco cosa significa.
Lo sa bene Ed White, marito di Pam, ammalatasi di Alzheimer precoce a soli 61 anni, protagonisti di un video girato dal figlio Banker [eccolo qui], proprio per documentare come questa malattia può cambiare le dinamiche di una famiglia e soprattutto di una coppia. Tutto ad un tratto, ti ritrovi a letto con una persona che ti considera un estraneo, che non ti riconosce più, che fa fatica a formulare una frase di senso compiuto, che ti manda via con cattiveria perché ti pensa un malintenzionato, che va accudita come fosse un neonato alle prime armi. Ma cerchi di sopportare e di amare questa nuova creatura, che Dio ti ha messo a fianco nel momento della prova.
Mia nonna aveva l’Alzheimer: glielo diagnosticarono poco dopo essere rimasta vedova, dopo essersi rotta un femore, cadendo per strada. Nonno non c’era già più, ma compariva ogni tanto nei suoi discorsi confusi, annebbiati, dove farfugliava di un secondo marito, lei che timorata di Dio com’era, non poteva nemmeno contemplare lontanamente l’adulterio o il divorzio. Lei, da sempre arguta, svelta a far di conto, tanto religiosa e madre amorevole di quattro figli, presto si è trovata a non riconoscerli più e a chiedere soltanto di mangiare caramelle. E il più grande dolore non è per loro, che nemmeno si rendono conto di che cosa stia succedendo, ma per chi resta al loro fianco e si ricorda quello che erano, constatando come una sconfitta invece quello che la malattia ha lasciato.
Navigando in Internet e cazzeggiando su Facebook nei momenti liberi, una volta trovai questo racconto meraviglioso riportato da una giovane dottoressa in un ospedale: “Erano circa le 8.30 di una mattinata intensa. Un anziano signore sulla ottantina era venuto per farsi togliere i punti di sutura da una ferita che aveva sulla mano. Mi aveva subito spiegato che aveva fretta, aveva un appuntamento alle 9, e quindi sperava di sbrigarsi il prima possibile. Gli presi la pressione, il polso e la temperatura e lo accompagnai a sedersi, sapendo che sarebbe passata oltre un’ora prima che qualcuno fosse stato in grado di visitarlo. Lui sembrava impaziente, ogni tanto guardava l’orologio. Così, dal momento che non ero occupata con altri pazienti, decisi di guardare la sua ferita. Era guarita bene. Parlai con uno dei medici e presi gli strumenti necessari per rimuovere la sutura. Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se avesse un altro appuntamento medico quella stessa mattina, dato che aveva tanta fretta. Il signore mi rispose di no; doveva andare nella casa di cura dove era ricoverata sua moglie perché doveva fare colazione con lei. ‘È da tanto che è ricoverata?’, gli chiesi, informandomi anche sulla malattia della moglie. ‘Si trova lì da un po’ di tempo’, mi rispose l’anziano signore. ‘Ha il morbo di Alzheimer’, aggiunse. Mentre continuavamo a parlare, gli chiesi se la donna si sarebbe agitata vedendo che il marito tardava. ‘No!’, rispose. ‘Lei neanche sa chi sono. Da cinque anni non mi riconosce più’, aggiunse triste. Rimasi sorpresa e gli chiesi: ‘E va ancora a trovarla ogni mattina, anche se sua moglie non sa chi è?’. L’uomo sorrise, mi accarezzò la mano e disse: ‘Lei non mi riconosce, ma io so ancora chi è’”.
Ecco forse questo significa, amare qualcuno che non ci ama più, ma non per colpa sua: bastare per tutti e due e far bastare i propri ricordi di quello che era per sopperire al vuoto che abita la sua mente. Amarlo ancora di più, ancora più forte, onorando la scelta che il nostro cuore fece la prima volta che i nostri occhi posarono lo sguardo su di lui.
“Mi chiedo cosa si prova, fino a che punto Pam si renda conto di quello che le è successo, di cosa le succede e di quello che le succederà – dice Ed White nel video – Ogni volta che la vedo spero di poterla abbracciare, ogni volta che la vedo le dico che la amo, le dico quanto è bello il suo sorriso, quanto è stata spettacolare la nostra vita insieme, la ringrazio per quello che ha fatto per me. È stata una madre incredibile, amorevole, premurosa. So che le piacerebbe essere ancora quella persona, lo so. Io ho preso un impegno con questa donna bellissima, le ho promesso che vivrò con lei per sempre. Qualsiasi cosa succederà, la vivremo insieme”.
Tener fede a una promessa indissolubile, fatta molti anni prima, ma che l’amore giorno dopo giorno ha contribuito a rendere sempre più sacra e che proprio in virtù di quell’amore, ora nel momento della difficoltà, non riesci a non mantenere: ecco cosa significa amare chi c’è, ma non c’è. E non ci sarà più.
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