E sono 17. La domanda che più mi sono sentita porre in tutti questi anni è stata: “Ma come avete fatto?”. Lasciate che vi racconti una storia.
L’altro giorno abbiamo deciso di raggiungere una malga in quota. Le previsioni meteo non erano delle più rassicuranti, ma ci siamo vestiti e siamo partiti. Dopo qualche km, ha cominciato a rannuvolarsi e a tuonare in lontananza. Dapprima ha iniziato a cadere qualche goccia leggera.
“Dobbiamo tornare indietro?”. “Ma no, sarà un piovasco di montagna”, mi ha risposto Teo, piedi piagati dalla chemio e un ginocchio fuori uso. Così proseguiamo, fino a che le gocce non si intensificano. Facciamo appena in tempo a indossare i kway e a ripararci sotto un capanno, che vien giù il finimondo: acqua a catinelle e vento.
Sotto al bivacco non eravamo soli, c’erano altri turisti, ma tutti meglio equipaggiati di noi: scarponcini da trekking, calze tecniche, kway professionali, ricambio asciutto, zaini impermeabili e ombrelli. Noi scarpe da tennis bucate, calzettoni da calcetto e kway di una taglia in meno. Eppure. Tanti di questi, visto il tempo, han deciso di avviarsi sulla strada di ritorno, nonostante il rifugio fosse a due passi.
“E noi, che facciamo?”. “O torniamo anche noi, o raggiungiamo il nostro obiettivo, che dev’essere poco distante”. “E se ci sorprende il temporale nel bosco?”. “Ci arrangiamo, come abbiamo sempre fatto”. Così ci siamo incamminati, mezz’ora per fare un percorso che gli altri ci impiegano 10 minuti, vuoi per l’esperienza, vuoi per il paio di piedi buoni. Ma siamo arrivati in cima, felici e asciutti. Ci siamo battuti il cinque e abbiamo goduto della pace, inondati dal sole.
Come si faccia a rimanere insieme tutti questi anni, felici di esserlo, davvero non lo so. Ma so per certo due cose: che abbandonarci lungo il cammino e proseguire da soli, o tornare indietro, non sono mai state delle opzioni.
Auguri per questi 17 anni insieme, mia roccia e mio Tutto, mia benedizione e mia ricompensa.
Sarà sempre meglio.
Ti amo.
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