Nell’armadio ho un paio di shorts e una salopette di jeans, messi una volta e poi accantonati perché non mi salivano più. Li conservavo nella speranza che mi sarebbero riandati a pennello un giorno. Li tenevo lì come monito a prendermi cura di me, senza in realtà trovare mai la spinta per farlo. Il solo fatto che fossero tra i miei pezzi preferiti non bastava come sprone.
Fino a che una cinta che non si allacciava più e l’inasprirsi della malattia di Teo non mi hanno fatto scattare qualcosa.
Gli ultimi mesi sono stati l’inferno: sapete, il cancro è un’enorme montagna di merda che ti piove addosso, e più cerchi di spalarla via da te, più cresce e ti sommerge. E la combo cancro più pandemia è stata un incubo.
Così mentre il mio cuore e la mia testa si facevano sempre più pesanti, io ho capito che per contrasto dovevo diventare più leggera. Perché aggiungere zavorre a un’anima pesante non fa altro che trascinarla a fondo.
Ieri per gioco ho tirato fuori i miei shorts e la mia salopette, e non con poco timore, li ho provati. Sono corsa incredula da Teo. Poi ho pianto. E avendo pianto lacrime ben più amare, queste di gioia – credetemi – sono state ben spese.
Ho voglia di essere leggera, lasciatemi essere leggera. Che di pesante c’è già la mia vita. E di superficiale lo sguardo di chi non mi conosce e mi giudica.
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