Ieri ho cominciato a piangere alle 7 e ho smesso alle 22, quando mi sono rintanata sotto le coperte, dicendo addio al mondo. Ieri, tra un dolore e un altro, ho appreso della morte di Ezio Bosso. Non lo conoscevo, non di persona e non bene quantomeno, ma ho pianto.
La mia amica dice che la vecchiaia unita all’isolamento mi stanno aprendo le cateratte. Ma no, invecchiando, invece, sto imparando a piangere per ciò che lo merita davvero. Ed Ezio è tra queste.
Ieri era una di quelle giornate in cui pensare che al mondo ci fosse anche una persona come lui, mi aiutava ad andare avanti. Invece no. Lui questo mondo lo ha lasciato.
Lo conoscevo per quello che si può leggere e vedere di lui su Internet. Ma no, lo conoscevo in realtà anche per questo: 3 anni fa, un’amica di Teo e mia, insieme alle due sorelle, raggiunse Bosso, ai tempi direttore del Verdi di Trieste, e gli parlarono di Teo e della sua storia. Al che lui volle regalargli il suo ultimo lavoro “The 12th room” con una dedica: “A Matteo, alla sua forza e al diritto alla leggerezza e al sorriso”.
Ieri, nella mia giornata pesante, sono andata a riguardarmi il suo cd. Non è solo un’opera musicale, ma anche un viaggio tra le parole. Sfogliando su Internet una foto con cui accompagnare questo testo, ho scelto proprio quella che sul booklet compare accanto alla stanza dedicata a Emily Dickinson, la sua poetessa preferita. E anche la mia. Non sarà un caso.
Arrivando alla fine, spiega il significato della parola stanza e del perché l’ha scelta per i suoi componimenti. In particolare, spiega della sua stanza più buia, quella antipatica, quella che lo atterriva, ma che gli ha anche insegnato ad amare la vita: la malattia. Diceva che ha dovuto immaginare numerose stanze, arrivando alla dodicesima, quella dove tutto in teoria finisce, e invece in pratica rinasce.
Ieri ero nella mia stanza buia, e con la tua musica mi hai liberato. Ora sei arrivato nella tua dodicesima stanza, Ezio. Ora sei libero. Grazie per la musica e per avermi insegnato che non esiste dolore che possa intaccare il mio diritto a essere leggera. E felice.

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