Stamattina ho pianto dopo tanto tempo. Alla notizia della tua partenza, mi sono abbandonata al dolore. Era tanto che non piangevo. Che non piangevo per il dolore dell’anima, intendo. E non so nemmeno perché ho pianto per te.
Non eravamo amiche, eravamo colleghe, ma non di scrivania. Eppure quel giorno di tre anni fa, mi scrivesti per propormi un lavoro. “Perché sei brava e perché ti stimo. Ma come sta Matteo?”. Come stavi tu, che avevi quello che aveva Matteo. No, non il cancro, anche. Ma un’anima bella, manifestata a noi comuni mortali dal vostro sorriso infrangibile, insopprimibile, indomabile. Ci siamo sentite qualche volta poi, come stai? Bene, era la tua risposta. Andava sempre bene a voi eroi.
Troppo poche, mi son detta stamattina. Dovevo scriverti di più, per farti sapere che non eri sola. Ma poi mi son trovata sola io, e il dolore era troppo e così, eccomi a non poterti più scrivere davvero. Ho chiesto come sei morta e ti chiedo scusa perché son cascata anch’io nella retorica: è davvero importante saperlo? L’unica cosa che desidero per te è che nel passaggio tu sia stata felice di te.
Stamattina mi hai fatto un regalo grande: ho ricominciato a piangere, io che credevo di essere diventata una donna di latta. Credevo di non aver più paura di niente e invece no, ho ancora paura di non riuscire a dire e fare le cose importanti per tempo a chi le merita. Mi è uscito un vaffanculo per tutte le mie mancanze e per le vostre assenze. Poi ho pensato al tuo sorriso. E ho sorriso anch’io.
Ciao Maria, fai buon viaggio. Dai un bacio al mio Matteo, digli che mi manca da morire, ma che sto cercando comunque di vivere. So che diventerete buoni amici, vi vedo già. A presto.
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