«Si dice che quando una persona guarda le stelle è come se volesse ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo». Così diceva il grande Dalì circa un secolo fa, così è vero anche per noi oggi. Guardiamo le stelle per sognare, per esprimere i desideri, per fantasticare, per raggiungere coloro che sono lontani e coloro che adesso abitano su quelle stelle. Guardiamo il cielo per ridimensionarci, ma anche per aspirare all’immenso; guardiamo il cielo per guardarci dentro, per esplorare gli angoli più reconditi della nostra anima. Guardiamo il cielo per capire dove vogliamo andare, per ricominciare a respirare, per concentrarci sui nostri sogni.
Mercoledì ho visto le stelle, le ho viste che era di pomeriggio. Le ho viste nitidamente: erano tante e punteggiavano un cielo blu scuro, scuro come la notte. Erano piccole ma dai contorni precisi. Non disegnavano nessuna costellazione, ma dentro ci si leggeva comunque il destino: un destino all’inizio dichiarato avverso, Saturno contro, quelle cose lì che capiscono solo gli astrologi, ma che ora sembra sorridere. Non vi erano nuvole in quel cielo, nessuna perturbazione. Le ho viste di pomeriggio. Le ho viste nello schermo di un monitor d’ospedale. Le ho viste dentro di lui. Erano tante, ma erano più piccole. Erano e sono lì, dove si impara a respirare e dove il respiro è un movimento involontario. Erano lì vicino a dove si concentrano tutti i sogni.
Kant espresse così il suo ultimo desiderio: «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me». Lui il cielo stellato lo ha dentro di sé. E sapete cosa significa quando di notte si vedono perfettamente le stelle? Che l’indomani sarà una giornata bellissima, senza nuvole e con un sole capace di scaldarti le ossa. Sì, sarà così anche per noi domani: una giornata bellissima, senza nuvole e con un sole capace di scaldarti le ossa.

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