“Se oggi finisci presto di lavorare, mi porti a fare un giro in campagna?”. Teo non mette piede fuori di casa da 6 mesi, ben prima del lockdown, da quando i suoi polmoni si son rivelati troppo fragili per poter star nel mondo. Così oggi quando me l’ha chiesto, non ho potuto non esaudirlo: ho chiuso il pc alle 17, ho preso la sua mano e l’ho portato a rivedere i suoi luoghi del cuore. I profumi del bosco, quelli del grano, anche l’olezzo del letame appena sparso, tutto sembrava più bello. “Sai, mi devo preparare per tornare a Tokyo… Tutti i sogni che ti propongo è perché son sicuro di poterli realizzare”. Piano piano, un passo alla volta, abbiamo fatto un giro impensabile. “Son felice di averlo fatto con te”, mi ha detto una volta tornati a casa. Non so se torneremo mai a vedere i ciliegi a Tokyo, ma questo per me è stato il viaggio più bello…
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Avrei voglia di…
Avrei voglia di dormire per 8 ore filate. Di addormentarmi senza i mostri nella testa. Di risvegliarmi con la colazione a letto. E di vestirmi per andare una giornata al mare, a mangiare la focaccia, guardando le onde andare e venire. Avrei voglia di ballare forsennatamente, fino all’alba, fino a sudare. Avrei voglia di fare l’amore, fino all’alba, fino a sudare. Avrei voglia di sedermi per un giorno intero sull’erba e leggere tre libri, ininterrottamente. Avrei voglia di mettermi su un aereo, zaino in spalla e arrivare fino a Bali e dondolarmi su quell’altalena che si vede nelle foto, per sentirmi per qualche minuto finalmente leggera. Avrei voglia di un tuffo in piscina dal trampolino e di uno dallo scoglio nel mare. Avrei voglia di tuffarmi nel cielo da un aeroplano, per vedere che effetto fa volare. Avrei voglia di una carbonara a Trastevere e di un tonkatsu a Kyoto. Avrei voglia di vedere i ciliegi in fiore a Tokyo…
Cambio pelle
I. si è lasciata con il suo fidanzato. Ha capito che la relazione non la rendeva felice, la stava spegnendo giorno dopo giorno. Cosa ha a che fare con me? Che I. oggi mi ha scritto per ringraziarmi: “leggere le tue parole mi ha aiutata a capire che stavo andando nella direzione sbagliata, lontano da me. Grazie”. Le mie parole le hanno dato il coraggio di riprendere in mano se stessa. Le mie parole le hanno cambiato la vita. Amo le parole da sempre: le uso, le cesello, le adotto, le ammiro. Una parola non è qualcosa di evanescente, ma qualcosa che può fendere, squarciare, scavare. Cambiare. Rimane in superficie se però non è coerente con quello che si vive. “Le tue parole hanno il potere di cambiare le cose e le persone perché derivano dall’esempio”, mi ha detto l’altro giorno una persona al telefono. L’idea di cambiare il mondo e le persone con quello che sono e che dico…
La dodicesima stanza
Ieri ho cominciato a piangere alle 7 e ho smesso alle 22, quando mi sono rintanata sotto le coperte, dicendo addio al mondo. Ieri, tra un dolore e un altro, ho appreso della morte di Ezio Bosso. Non lo conoscevo, non di persona e non bene quantomeno, ma ho pianto. La mia amica dice che la vecchiaia unita all’isolamento mi stanno aprendo le cateratte. Ma no, invecchiando, invece, sto imparando a piangere per ciò che lo merita davvero. Ed Ezio è tra queste. Ieri era una di quelle giornate in cui pensare che al mondo ci fosse anche una persona come lui, mi aiutava ad andare avanti. Invece no. Lui questo mondo lo ha lasciato. Lo conoscevo per quello che si può leggere e vedere di lui su Internet. Ma no, lo conoscevo in realtà anche per questo: 3 anni fa, un’amica di Teo e mia, insieme alle due sorelle, raggiunse Bosso, ai tempi direttore del Verdi di Trieste, e…
Una storia coraggiosa
“Franci, ciao. Senti, il direttore vuole fare un numero tutto incentrato sul coraggio. Ti va se racconto di te e Matteo?”. Non capita mai che si parli di me, infatti inizialmente avevo capito fosse un’intervista per Teo. E invece stavolta no, sono io. Volevano parlare di me. E ho acconsentito per due motivi principalmente: il primo è che a chiedermelo è stata una collega della quale ho una stima e ammirazione immensa. Quindici anni fa, quando sognavo di fare questo mestiere, sfogliavo Elle – una delle mie riviste preferite – e quando incappavo in uno dei suoi articoli, mi soffermavo per leggerli tutti, dall’inizio alla fine, auspicando di diventare brava almeno la metà di quanto lo era (ed è) lei. Il secondo è che si parla tanto dei malati, ma poco di chi sta loro accanto. E così, eccoci qui, a doppia pagina sul numero di F in edicola questa settimana: c’è la nostra storia, che è una storia di…
Io non sono madre
Io non sono madre. Ma Qualcuno un anno fa ha deciso che lo sarei diventata comunque, mandandovi qui su questa Terra. Perché di notte mi sveglio a ogni minimo rumore o abbaio proveniente dalla cucina dove dormite. La mattina mi sveglio all’alba per farvi uscire. Quando siete scappate vi ho seguite in capo al mondo, a costo di farmi venire un infarto. E ogni volta che vi ho riportate a casa, ho pianto come una fontana. Quando siete state operate son stata in pensiero, come per il vostro papà. Quando c’è da portarvi in clinica, mi siedo nel baule insieme a voi per tenervi buone. La notte prima di mettervi a letto vi do il bacino della buonanotte. Quando sono in bagno, non ho privacy, perché voi siete con me. Quando giocate, mi perdo per minuti a guardarvi. Prima di addormentarmi, parlo sempre di voi col papà. E quando correte da lui per baciarlo, mi si riempie il cuore di…
Ciao, Silvia
“Ti va di venire a far compagnia a mia figlia? Una volta a settimana, se non è disturbo”. Avevo 18 anni, non sapevo cosa volesse dire fare da dama di compagnia a una persona fragile. Ma i tuoi mi avevano scelta “a pelle”. E avevano ragione, perché da favore quale doveva essere, presto è diventato un piacere. Eravamo nate quasi lo stesso giorno, tu 20 anni prima, ma il giorno dopo. Entrambe eravamo laureate in lingue, amavamo i libri sopra ogni cosa, e stare in giro, visitare luoghi, conoscere gente. Venivo da te e ogni volta c’era qualcosa di diverso da fare: a volte delle traduzioni in francese, altre mi mettevo a trascrivere il tuo diario. Poi andavamo a messa insieme. A ogni compleanno e Natale, arrivavo con un libro. A Pasqua con un uovo di cioccolato. Ormai i libri me li commissionavi, e anche se sapevamo entrambe il titolo, te lo incartavo per lasciare l’effetto sorpresa. Uno degli ultimi…
Bentornata, Shibuya!
Shibuya è tornata a casa. Esattamente dopo 4 mesi e 8 giorni. Dopo quel brutto incidente, quasi un mese in clinica, 2 interventi, molte medicine, tanta paura. Nara invece è sempre stata a casa, se in attesa della sorella non saprei dire, anche se nelle ultime due fughe fatte è sempre scappata là, dove aveva visto per l’ultima volta Shibuya. Ho provato a immaginare come sarebbe stato il ritorno a casa: ci avrebbe riconosciuti, avrebbe riconosciuto casa sua, ma soprattutto avrebbe riconosciuto Nara? Ebbene, la risposta è stata sì a tutte e tre le domande. Non solo ci è corsa incontro con entusiasmo, ma ha riconosciuto subito anche il suo giardino. E sua sorella. Alla quale ci è voluto un po’ di più per sciogliersi, per accogliere quella sorella che forse aspettava da sempre, ma che è stata sconosciuta per un po’. Dopo mezz’ora è stato come se il tempo non fosse mai passato, come se quell’incidente non fosse mai…
Fare della prigione un paradiso
Ogni giorno è identico all’altro. Sveglia, colazione, pc, pranzo, pc, cena, divano, letto. E si ricomincia daccapo. Eppure sto amando tutto, tutto. Le nostre sveglie posticipate, i nostri pranzi cucinati insieme, i nostri pisolini nel prato con Nara che ci saltella intorno, le nostre cene indovinando le età di sconosciuti, le nostre serate a divorare serie tv – ma quanto ci è piaciuta “La casa di carta”, eh quanto? -, le nostre chiacchiere nel letto. “Quando ricomincerà tutto, sarò felice per te perché potrai uscire di nuovo e andare agli allenamenti e fare la tua vita di prima – mi ha detto serio Teo oggi – Ma mi dispiacerà perché amo averti con me nella mia vita. Per me questa quarantena é stato un upgrade. Son proprio felice con te, tanto”. È proprio vero che avere accanto la persona giusta nei momenti sbagliati può farti sembrare il paradiso anche la più terribile delle prigionie. [Now playing: Depeche Mode – “Home”]…
Un passo verso l’altro
In questo momento drammatico ognuno aiuta, facendo il suo: i medici soccorrono e guariscono, i politici amministrano, i commessi fanno in modo che gli scaffali non siano mai sforniti. E noi comuni mortali? Oltre a rispettare le regole – che è già tutto quello che possiamo fare perché il pericolo rientri -, possiamo mettere al servizio i nostri talenti. Ieri sera al telefono con una mia carissima amica e collega, che tra le tante cose è anche food blogger, mi ha detto: “A me non va di dire la mia o di dare il bollettino dei morti al posto della Protezione Civile, io so cucinare, quindi continuo a ispirare le persone con i miei piatti. Perché è quello che so fare con più amore”. Proprio oggi mi hanno scritto persone diverse per diversi motivi: una ha scritto a Teo, ringraziandolo per le nostre dirette a base di meditazioni e riflessioni; una mi ha scritto, ringraziandomi di averle fatto scoprire la…