“Ti va di venire a far compagnia a mia figlia? Una volta a settimana, se non è disturbo”. Avevo 18 anni, non sapevo cosa volesse dire fare da dama di compagnia a una persona fragile. Ma i tuoi mi avevano scelta “a pelle”. E avevano ragione, perché da favore quale doveva essere, presto è diventato un piacere.
Eravamo nate quasi lo stesso giorno, tu 20 anni prima, ma il giorno dopo. Entrambe eravamo laureate in lingue, amavamo i libri sopra ogni cosa, e stare in giro, visitare luoghi, conoscere gente. Venivo da te e ogni volta c’era qualcosa di diverso da fare: a volte delle traduzioni in francese, altre mi mettevo a trascrivere il tuo diario. Poi andavamo a messa insieme.
A ogni compleanno e Natale, arrivavo con un libro. A Pasqua con un uovo di cioccolato. Ormai i libri me li commissionavi, e anche se sapevamo entrambe il titolo, te lo incartavo per lasciare l’effetto sorpresa. Uno degli ultimi è stato il libro di Teo; l’ultima volta che ci siamo viste, mi hai detto: “Digli che è proprio bello, la mia fiaba preferita è Rosaspina”.
Perché conoscevi l’importanza di condividere il dolore per essere un po’ più leggeri. E non mancavi mai di chiedermi come stava. E sentivo che tu eri vera, perché sapevi quanto bene può fare un “come stai?” sincero.
Quest’ultima Pasqua non ci siam viste, stavo pensando proprio in questi giorni a quando sarei potuta venire a trovarti per abbracciarti. Ma quest’abbraccio non ci sarà.
Non ho mai saputo cosa volesse dire fare da dama di compagnia perché non ne ho avuto bisogno: siamo diventate subito amiche.
Più di tutto di te mi mancherà il sorriso, ti sorridevano anche gli occhi: la vita ti ha tolto tanto, ma il sorriso, quello mai. E con quello mi hai educato alla resilienza.
Di noi insieme non ho foto, ma non importa. Voglio ricordarti così, con una rosa rosa, il colore del maglioncino che portavi sempre e della tua vita.
Ciao Silvia, fai buon viaggio.

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