Mi manca da morire il contatto fisico. Non sono un’abbracciona, ma se decido di ammetterti nel mio spazio prossemico, allora ti voglio accogliere totalmente.
Voglio aprire le braccia e donarti il mio calore. Voglio sentire i nostri cuori che battono all’unisono. O il mio in battere e il tuo in levare.
E se non siamo così intimi, quantomeno voglio stringerti la mano, sentire se la mia energia è in armonia con la tua. O scambiare i canonici due baci, quelli che mescolano gli odori e ti dicono se di quella persona puoi fidarti.
Gli abbracci che davo e ricevevo avevano il potere di riattaccarmi insieme. Non poter abbracciare mia sorella, gli amici, una collega che non vedo da tempo, mi toglie qualcosa. E adesso che avrei bisogno di ricompormi, di sentirmi intera, la vita ancora mi strappa brandelli di cuore.
Come faccio a individuare la strada da seguire, se non posso ascoltare il mio cuore? Ma non in senso letterale, in senso fisico. È il cuore ad accelerare il battito quando siamo vicini a qualcuno che amiamo, che ci attrae o ci repelle. È il cuore che ci comanda di respirare quella persona o di allontanarla. È il cuore che impazzisce quando le pelli che si toccano fanno scintille e lo mandano in corto circuito.
Il mio cuore sta decelerando poco a poco, divorato dall’ansia. Andando avanti così, potrebbe anche smettere di battere. Morta da viva. Ho bisogno di allenarlo alle emozioni. Spero che arrivi presto l’abbraccio che mi defibrillerà.
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