Stamattina davanti allo specchio dopo la doccia, sentivo un fastidio. Pensavo che è vero che io e te siamo stati un prodigio insieme, e che tu mi hai aiutata a cominciare un percorso verso la donna che sono, ma che gran parte del merito del mio essere lo devo a me, e che io esisto, a prescindere da te.
Sono uscita, andando a un appuntamento importante, con questa convinzione, ancora timida però, perché a pensare che noi veniamo prima di chiunque altro o di qualsiasi accadimento, ci si sente un po’ in colpa.
Poi è successo. Mi hai parlato. In un modo chiaro e lapalissiano, senza giri di parole, come eri tu. Hai usato un mezzo inconsueto per farmi avere le risposte che cercavo. Alla mia domanda: “Ma come mi dovrò comportare in futuro? Il nostro noi dove andrà a finire?”, mi hai risposto: “Non parlare di me, io quello che dovevo fare l’ho fatto. Ora ci sei tu, parla di te, agisci per te. Tu sei noi”.
Poi mi hai fatto avere un’ametista e un quarzo rosa, due pietre che aiutano a lenire il dolore della perdita e che aiutano a fare chiarezza tra i pensieri, a vedere le cose in maniera oggettiva.
Ora ci sono io. In questi giorni è naturale che ancora la gente mi parli e mi chieda di te, ma pochi sono andati oltre, chiedendomi di me. Ecco, da adesso in poi, vi dirò di me, e parlerò di me anche a me stessa. Per ricordarmi che ho camminato tanto per arrivare alla me che sto imparando ad amare, che avevo uno sherpa, ma ora ho un angelo accanto.
“Sono nella luce ora, ma non sono felice perché tu devi ancora volare”, mi hai detto stamattina. La tua assenza fisica non diventerà una zavorra: mi stanno spuntando le ali, non per volare più vicino a te, ma più vicino a me. Perché noi siamo il nostro cielo, nubi e sole, quiete e tempesta. Se solo avessimo il coraggio di guardarci davvero.
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