Avete mai assaporato l’eternità? “Le faremo sapere” e il telefono che non squilla mai, una sala d’attesa vuota e qualcuno che amate in sala operatoria, uno sposo all’altare e una sposa in ritardo, un esame importante e un esito che si fa desiderare, un padre nervoso perché sua moglie è in sala parto… I minuti, le ore, i giorni che ci separano dal verdetto non somigliano forse all’eternità? Perché sappiamo che da lì in poi sarà tutto diverso, nel bene o nel male, che dovremo ricominciare, che ci aspetterà una nuova vita, che dovremo reinventarci, assumere nuovi ruoli, vestire nuovi panni, affrontare nuove sfide.
A me l’attesa mi mette ansia, mi fa diventare malinconica e anche un po’ intrattabile perché so di non poter avere il risultato sotto controllo, che in parte quello che succederà non dipenderà da me. Queste sono state settimane d’attesa e in parte, ancora non è finita: ho atteso risposte per il lavoro che non sono mai arrivate (e quindi, ne ho dedotto che non se ne faceva nulla!), sto attendendo di sapere se ci sarà un futuro per me e chi amo, e attenderò la partenza per un’importante trasferta di lavoro oltreoceano (che certo è una cosa bella, ma si ha sempre paura di dimenticare qualcosa o che qualcosa vada storto, finché non si è partiti!).
È tutto un essere sospesi, appesi a una risposta che non si sa quando arriverà e quale sarà, ma che se probabilmente sapremmo in anticipo non vivremmo più del tutto. Forse che abbiano costruito apposta questa specie di limbo per farci vivere al massimo, “come se non ci fosse un domani”, fino in fondo, per farci affinare l’arte della speranza e dell’ottimismo, per non farci mollare mai, “perché non è finita finché non è finita”?
Tutti siamo in attesa, ma alcuni sono più in attesa di altri, perché più sensibili, più empatici o semplicemente perché la loro vita è davvero in mano a un sì o a un no detto da altri e quindi, hanno imparato a non dare niente per scontato, nemmeno un minuto, nemmeno un secondo perché potrebbe essere l’ultimo.
Se c’è una cosa che invece io ho imparato è che nessuno dovrebbe mai essere lasciato solo ad aspettare: che sia bella o brutta, è sempre meglio avere qualcuno che ti tenga le mani, che ti stringa le spalle, che ti faccia parlare, che non ti faccia pensare, che ti faccia ridere e che sia lì con te, quando sarà il momento di conoscere la verità.
Finora le attese mi sono pesate perché eravamo ognuno per sé ad aspettare la stessa risposta, ad assaporare l’eternità: ma non c’è gusto, non c’è senso se le cose, belle o brutte, non possono essere condivise. Ecco perché la verità questa volta avrà un sapore diverso: qualunque essa sarà, significherà la svolta, l’inizio di una nuova vita. In due, stavolta, però. Perché quell’eternità tante volte assaporata, stavolta diventi davvero un “per sempre”.
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